SHOAH-al-NAKBA
Bandiera antifascista Un sito antifascista
La Striscia di Gaza oggi
La 'Nakba' palestinese
Piccolo navigatore palestinese
1. La Palestina ieri
2. La Palestina oggi:
- nella Striscia di Gaza
- in Cisgiordania



COME LEGGERE LA SCHEDA?
E' articolata in due momenti distinti:
- storico, affrontatando quindi l'occupazione storica di parte della Palestina;
- contemporaneo (tu sei qui, sezione Gaza!), nel presente dell'emergenza umanitaria in Palestina, legata a filo rosso allo Stato di Israele.

STRISCIA DI GAZA, OGGI

Tra autodeterminazione e regime di controllo.


La Striscia di Gaza, oggi, è imprigionata tra l’autodeterminazione riconosciuta dagli accordi di Pace dei primi anni ’90 (come descritti) e il perdurare del regime di controllo israeliano sulla popolazione civile palestinese.
In questa terra di Palestina, diversamente dalla West Bank, non esistono insediamenti di popolazione da parte di Israele, che ha ritirato la propria presenza solo nel 2005 attraverso un Piano di decolonizzazione portato avanti dall'allora Primo ministro Sharon, il quale, rinunciando a colonie in un lembo di terra ne rafforzava esistenza ed espansione in Cisgiordania. Eppure, la presenza israeliana fuori dai confini della Striscia non ha smesso di danneggiare le effettive potenzialità d’autodeterminazione palestinese. La situazione è stata resa ancor più grave da un embargo durissimo imposto da Israele e sostenuto da USA e UE, a seguito della vittoria elettorale di Hamas. Nessun effetto rimarchevole ha prodotto l’alleggerimento delle misure di restrizione del 2010 a seguito dell’uccisione da parte della marina israeliana di nove attivisti turchi della Freedom Flotilla, intenti a forzare il blocco di Gaza via mare.

Figura La Striscia di Gaza


Affronteremo gli impatti del controllo israeliano della Striscia sul sistema infrastrutturale (elettricità, acqua, casa), educativo, su quelli sanitario e alimentare, sul lavoro e in particolare sulle possibilità d'occupazione in agricoltura e nella pesca.
Tutto questo con il sapore di una punizione collettiva, che - in forza dell’art. 33 della IV Convenzione di Ginevra - è "crimine di guerra", con l’identificazione di criminale, vittima e l’urgenza di risarcimenti.

Introduzione (a)

b. La terra e la questione agricola
c. Mare navigabile e industria ittica
d. Acque reflue e infrastrutture
e. Elettricità
f. Educazione
g. Casa
speciale. Operazione "Piombo Fuso"
h. Da Gaza verso la Cisgiordania

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L’Accordo di Gaza-Gerico del 1994, con il quale si realizzava il primo trasferimento di poteri all’Autorità Nazionale Palestinese (Striscia di Gaza e area cisgiordana di Gerico), prevedeva 34 che i confini della Striscia con Israele, a nord e a est, fossero quelli della “Green Line” del 1948, a seguito del primo conflitto arabo-palestinese. Al di qua della “Linea Verde” le autorità palestinesi sarebbero state comunque responsabili della sorveglianza di un perimetro di sicurezza che entrava nella Striscia per 1.000 metri.

Dalla seconda Intifada, a oggi, questa misura, che nasce da un accordo discutibile ma bilaterale, è sostituita da decisioni unilaterali prese in seno al governo di Israele e volte a operare un controllo invasivo del territorio. Un recente studio 35 dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA) in collaborazione con il WFP, agenzia ONU per l’alimentazione, ha mostrato – anche attraverso indagini sul campo – l’esistenza di due aree di perimetro:
  • Zona di non accesso, che va dalla Linea Verde a 500 metri: qui opera attivamente l’esercito israeliano, in violazione del diritto, livellando coltivazioni e distruggendo ogni costruzione palestinese;
  • Zona ad alto rischio di accesso, che va dai 500 metri dopo la Linea Verde fino a 1.500 e in alcuni casi 3.000 metri: anche in questa zona opera l’esercito israeliano attraverso incursioni e fuoco di avvertimento, tuttavia senza sistematicità, lasciando la popolazione palestinese in un contesto d’incertezza.
Le due zone così definite, sempre secondo lo studio delle Nazioni Unite, coprono quasi 65 chilometri quadrati, che in una “striscia” di terra ad altissima densità di popolazione qual è Gaza, rappresentano il 35% delle sole aree coltivabili.

Per l’industria agricola il livellamento della terra significa soprattutto lo sradicamento degli alberi da frutta. La politica unilaterale d'incursione nella Striscia di Gaza con elicotteri, droni e schiacciasassi ha significato così una perdita di oltre 150 milioni di euro (costo di ricostruzione) solo per quanto riguarda la distruzione di ulivi, mandorli, alberi da agrumi, vigneti e altri alberi da frutta, senza quindi contare il livellamento delle altre strutture civili (case, pozzi d’acqua, fattorie, etc.).
Contro queste pratiche illegali i coltivatori palestinesi hanno cercano di opporre un'agricoltura di sussistenza, rinunciando alla ri-coltivazione di alberi da frutta, scegliendo colture a ridotte esigenze di cura durante l’anno e resistenti alle operazioni di livellamento in quanto non più alte di 80 cm: si tratta tuttavia di colture meno profittevoli e proteiche, come grano e orzo.

Ciò trasforma inevitabilmente anche il paesaggio della Striscia di Gaza, ed è quanto visibile utilizzando le immagini satellitari storiche della piattaforma Google Earth. Puntando sull'area rurale di Beit Hanoun (Bayt Hanun), nella prossimità della Linea Verde di armistizio del 1948, ad esempio, il confronto tra un’immagine scattata il 21 gennaio 2004 e un’altra il 23 agosto 2011 deve lasciare spazio a ulteriori indagini.

Figura L'area agricola di Beit Hanoun, 2004 (via Google Earth)
2004

Figura L'area agricola di Beit Hanoun, 2011 (via Google Earth)
2011

Israele può mantenere tal regime discrezionale di accesso alla terra solo grazie alla propria macchina militare, dispiegata lungo tutto il confine con la Striscia, fatta anche di torrette controllate da remoto che custodiscono mitragliatrici i cui proiettili possono raggiungere 1.500 metri di distanza, causa di decine di ferite registrate fra la popolazione civile al di qua della Linea Verde 36 (nella cosiddetta "buffer zone", la zona cuscinetto dichiarata unilateralmente da Israele all'interno del perimetro palestinese).

Il perdurare della stretta israeliana sulla Striscia di Gaza, nei termini appena detti, determina una forte erosione del reddito familiare dei civili palestinesi che vivono ogni giorno le restrizioni. Taluni abbandonano la propria terra in direzione di diverse strategie di reddito: raccoglitori di macerie e detriti, alla luce del parziale blocco all’importazione di materiali edili per la ricostruzione, oppure operai nell’industria dei tunnel per e verso l’Egitto, per l’importazione di materiali soggetti a embargo o carenza. Coloro i quali scelgono di non abbandonare la propria attività, rinunciano al proprio terreno acquisendo in affitto altra terra in aree più sicure – talvolta solo per ottenere prodotti necessari al consumo domestico.

Le 75.000 tonnellate di prodotti agricoli perse ogni anno, per un valore economico di poco inferiore ai 50 milioni di euro, comportano anche conseguenze via-via più profonde nella qualità della vita dei civili, e non solo di quelli che hanno o avevano terreni nelle aree ad accesso ristretto. Il 44% di tutti gli abitanti della Striscia vive in un regime di deficit alimentare 37 e le insufficienze nutritive legate al sovra-consumo di cibi ricchi di carboidrati quali zucchero e cereali, meno costosi rispetto a quelli delle colture proteiche, sono poi la correlazione all’aumento di anemia tra minori, del diabete e delle malattie legate alla pressione sanguigna 38.

La terra e la questione agricola (b)

a. Introduzione
c. Mare navigabile e industria ittica
d. Acque reflue e infrastrutture
e. Elettricità
f. Educazione
g. Casa
speciale. Operazione "Piombo Fuso"
h. Da Gaza verso la Cisgiordania

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Note e riferimenti bibliografici di sezione:
(consultabili anche con un click sul richiamo di nota)
  1. Accordo Gaza-Gerico, Allegato I, art. 4 e mappa n. 1
  2. Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA) e Programma Alimentare Mondiale (WFP) (2010), “Between the fence and a hard place”, Special focus
  3. OCHA e WFP 2010, Op. cit., “Between the fence and a hard place”, p. 13
  4. Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori occupati palestinesi (OCHAoPT) (giugno 2012), “Five years of blockade: the humanitarian situation in the Gaza Strip
  5. OCHA e WFP 2010, Op. cit., “Between the fence and a hard place”, p. 27


L’80% dei palestinesi della Striscia di Gaza dipende così dagli aiuti umanitari 39. Ciò si deve in gran parte al regime di accesso controllato da Israele alle fonti di reddito economico e approvvigionamento alimentare, ovvero la terra, ma pure la striscia di mare che bagna le coste di Gaza.

Il già citato Accordo Gaza-Gerico del 1994 prevede all'articolo 11 venti miglia nautiche, pari a oltre 35 chilometri dalla costa della Striscia, anche per le comuni attività marittime – tra cui la pesca. Imbarcazioni israeliane, dal dettato dell’accordo, possono navigare nelle acque palestinesi, e senza limitazioni, se non l'obbligo di coordinamento con le autorità marittime della Striscia di Gaza.

Oggi come ieri, niente di tutto questo è attuato, a vantaggio di un regime discrezionale e unilaterale posto da Israele e dai suoi governi: con episodici alleggerimenti 40, il perimetro marittimo in vigore dal gennaio 2009 e cioè dall’operazione militare “Piombo Fuso” è stato di 3 miglia nautiche, rispetto alle 20 dell’Accordo del 1994. La misura, quasi come una marea politica nelle mani di Israele, subisce nel tempo estensioni e restrizioni dalle 3 alle 15 miglia nautiche.
Nel primo mese di alleggerimento della misura restrittiva (Novembre 2012), che ha portato le miglia nautiche navigabili da 3 a 6 – comunque meno di 1/3 di quelle sancite dall’Accordo bilaterale, il pescato è aumentato del 46%, una percentuale scesa all’8% nel mese successivo 41.

Figura Le acque navigabili dai pescatori della Striscia di Gaza
Trad. e elaborazione propria a partire da cartina delle Nazioni Unite OCHA oPT


L’erosione di acque liberamente navigabili non è senza un impatto decisivo nella qualità della vita dei cittadini palestinesi:
  • in termini di lavoro, di occupazione
    Prima della Seconda Intifada del 2000 (il moto di ribellione popolare palestinese) il Ministero dell’Agricoltura della Striscia registrava oltre 10.000 licenze – necessarie per la libera navigazione, già dall’Accordo Gaza-Gerico del 1994; gli ultimi dati disponibili, aggiornati al 2009, attestano il valore delle licenze a 3.500 (-65%) 42, con una perdita di occupazione anche per l’indotto dell’industria ittica che solo oggi dà lavoro a circa 2.000 persone 43.
    L’assenza di un canale di comunicazione ufficiale tra i pescatori palestinesi e Israele, che ha arbitrariamente decretato l’erosione per l’85% delle acque navigabili, e quindi della possibilità di lavoro, abbandona i primi al rischio continuo del fuoco israeliano, della detenzione amministrativa nelle carceri e della confisca dell’unica fonte di reddito, l’imbarcazione.


  • in termini alimentari
    Si assiste a una riduzione della disponibilità di pescato raccolto da imbarcazioni palestinesi che transitano nei porti di Rafah, Khan Younis, Deir al Balah e Gaza: erano 3.650 le tonnellate di pesce alla fine degli anni ’90 (1999), mentre dieci anni più tardi (2009) superano di poco 1.500 44. Ciò comporta strategie alternative per la sopravvivenza, come l’importazione di pescato da Israele e dall’Egitto (legale o “illegale” - attraverso la rete di tunnel o il rischioso approdo nei porti egiziani). Dati che fanno specie se si guarda la cartina della Striscia di Gaza e al suo essere bagnata dal mare per tutto il lato ovest di confine del territorio.
    Inoltre, la possibilità di pesca limitata alle acque più basse (non oltre 3 miglia nautiche) limita anche varietà e qualità di pescato, oltre alla quantità: così muore la raccolta del tonno nell’industria ittica palestinese, e nel raccolto delle sardine (che rappresentano il 70% del pescato) si concentrano i pesci più piccoli, non potendo raggiungere il meglio della migrazione di questa specie verso le acque turche, dal Nilo, all’altezza delle 10 miglia nautiche. Tutto questo implica un declino nella qualità del raccolto e quindi del suo valore economico.
    Di più e più largamente, a seguito della crisi energetica di cui si dirà, anche le acquacolture (che richiedono un’energia-che-non-c’è per l’ossigenazione e il trattamento dell’acqua) hanno perso e continuano a perdere ogni mese tonnellate di prodotto 45, con un deficit complessivo e aggregato che può lasciar parlare di emergenza alimentare.


  • in termini ambientali
    La concentrazione delle attività marittime in acque più basse causa un danno all’ecosistema, anche attraverso la necessità dell’utilizzo di reti a maglie più strette per la cattura dei più piccoli esemplari di sardine.

C’è un altro e ultimo aspetto, ed è quello legato allo sfruttamento delle risorse energetiche a largo della Costa di Gaza.
Nel gennaio del 2009 Michel Chossudovsky di Globalresearch e già nel luglio del 2007 l’italiana Debora Billi avevano ricordato come a largo della Striscia di Gaza fosse stato rinvenuto nel 1999 un giacimento di gas naturale, che con il suo abbondante miliardo di piedi cubi di gas potrebbe soddisfare la domanda energetica palestinese per 15 anni 46. Il 50% dei profitti del gas, se mai commercializzato, finirebbe nelle casse dell’Autorità Nazionale Palestinese e il restante sarebbe condiviso tra il gruppo britannico British Gas (BG), la Consolidated Contractors Limited (CCC) e la società pubblica palestinese Palestine Investment Fund (PIF).
Tuttavia, per sfruttare le riserve naturali a largo di Gaza è necessario un investimento infrastrutturale da parte del British Gas Group, che ha licenza venticinquennale per operare sui due giacimenti di gas: l’investimento, allora, secondo logiche di mercato, non può essere senza un preventivo contratto a lungo termine per la vendita del gas. Qui, interviene la politica di Israele: dapprima partecipa ai negoziati trattando un prezzo di vendita per piede cubo fuori dalle logiche di mercato, per poi negare la propria autorizzazione politica di sicurezza alla vendita del gas in altri mercati 47, come riporta in un recente articolo Victor Kattan, consigliere giuridico per il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo a Gerusalemme Est. Il gas palestinese, infatti, potrebbe essere efficacemente commercializzato anche al di là del Medio Oriente, come in Giappone e Corea del Sud, dopo essere stato condensato in appositi impianti presenti in Egitto, tra cui quello dell’italiana Agip.
La politica israeliana, tuttavia, se non efficacemente contrastata, impedisce ciò, e la limitazione dello spazio navigabile ha il sapore di sequestro del gas palestinese, arma di ricatto in mano ad Israele.

Mare navigabile e industria ittica (c)

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b. La terra e la questione agricola
d. Acque reflue e infrastrutture
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Note e riferimenti bibliografici di sezione:
(consultabili anche con un click sul richiamo di nota)
  1. OCHAoPT giugno 2012, Op. cit., “Five years of blockade: the humanitarian situation in the Gaza Strip”
  2. Dal novembre 2012, al termine dell’operazione militare che va sotto il nome di “Pilastro di Difesa”, Israele ha alleggerito la misura portando le miglia nautiche a 6, salvo poi rivedere la propria decisione nel marzo 2013 e fino al maggio dello stesso anno, e nel luglio del 2014 nell’ambito dell’ultimo assedio militare della Striscia di Gaza.
  3. OCHAoPT (2013), “Fragmented lives. Humanitarian overview”, p. 50.
  4. OCHA e WFP 2010, Op. Cit., “Between the fence and a hard place”, p. 12
  5. OCHAoPT (aprile 2007), “Gaza fishing: an industry in danger”, aprile
  6. OCHAoPT aprile 2007, Op. cit., “Gaza fishing: an industry in danger”
  7. OCHAoPT (marzo 2012), “The humanitarian impact of Gaza’s electricity and fuel crisis
  8. Kattan, V. (2012), “The Gas fields off Gaza: a gift or a curse”, al-shabaka
  9. Kattan 2012, Op. cit.


A ulteriore danno dell’industria ittica e soprattutto della sicurezza alimentare dei cittadini palestinesi, ogni giorno circa 90 milioni di litri di liquame non viene trattato ma direttamente scaricato nell’ambiente e principalmente nel Mar Mediterraneo 48 o nel “lago” Beit Lahiya (erano 80 solo un anno prima 49).
Ciò comporta un’urgenza in termini di sicurezza alimentare (a causa della contaminazione del pescato) e profondi danni alle falde acquifere di Gaza, dove si registra - oltre a uno dei più bassi consumi di acqua al Mondo, sotto ogni standard di sicurezza - anche l’aumento di disturbi quali diarrea, infezioni alla pelle, attacchi parassitari e anemia.
Il 90% dell’acqua estratta dalle falde di Gaza è così non potabile 50, comportando o l’acquisto di desalinatori o il più costoso rifornimento mediante botti.

Urgenze, queste, che richiedono forti e tempestivi investimenti di capitale per assicurare un adeguato trattamento degli scarichi fognari. Tuttavia, di nuovo, interviene Israele e una politica di controllo e limitazione all’autodeterminazione palestinese: questa volta attraverso il complesso sistema di approvazione e controllo dell’esecuzione dei progetti internazionali umanitari, volti a innovare il sistema infrastrutturale della Striscia.
Uno dei più grandi progetti nel settore, approvato nel 2004 dalla Banca Mondiale e finanziato - tra gli altri - dalla Commissione Europea e da agenzie francesi e svedesi, per un totale di 43 milioni di dollari d’investimento, è il “Northern Gaza Emergency Sewage Treatment” (NGEST). Dall’ultimo report 51, del 21 luglio 2012, si legge:

[...] Continua a essere critico il mantenere uno stretto coordinamento con l’unità delle Forze di Difesa Israeliane per le attività civili (“COGAT”), per garantire consegne prevedibili e tempestive dei beni e delle materie prime, così come l’arrivo dei collaboratori esterni attraverso il confine israeliano, al fine di evitare i gravi ritardi e sovraccosti che hanno afflitto l’attuazione della fase A (ndr: oggi completata e che aveva l’obiettivo di mitigare le urgenze delle comunità attorno al lago Beit Lahiya). [...] Un’interruzione dei lavori richiesta dalle Forze di Difesa Israeliane con un preavviso molto breve e perdurata per più di una settimana è un esempio calzante.

Altro esempio è l’interruzione dei lavori per dieci mesi 52, dal giugno del 2007 al marzo del 2008. Eppure, l’urgenza umanitaria era già stata rappresentata dall’alluvione di un villaggio ai margini del lago di scarico Beit Lahiya, che causò 5 morti e 25 feriti 53.

Altri progetti in essere, finanziati dall’Agenzia giapponese per la cooperazione internazionale e dalla Banca per lo sviluppo KfW hanno riscontrato simili ritardi e conseguente aumento dei costi.

La crisi energetica, di cui si dirà a breve, che rende malfunzionanti le infrastrutture di pompaggio delle acque reflue, determina essa stessa la deviazione degli scarichi in fragili laghi d’emergenza: così, anche il 13 novembre 2013, 35.000 metri cubi di scarichi non trattati hanno allagato un’area del quartiere di Az-Zeitoun, a sud di Gaza, esponendo oltre 3.000 persone a rischi sanitari 54.

Acque reflue e infrastrutture (d)

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Note e riferimenti bibliografici di sezione:
(consultabili anche con un click sul richiamo di nota)
  1. OCHAoPT (luglio 2013), Op. cit., “The humanitarian impact of movement restriction on people and goods”
  2. OCHA e WFP 2010, Op. cit., “Between the fence and a hard place”, p. 32
  3. OCHAoPT (luglio 2013), Op. cit., “The humanitarian impact of movement restriction on people and goods”
  4. The World Bank (2012), 'West Bank and Gaza - Northern Gaza Emergency Sewage Treatment (NGEST) Project : P074595 - Implementation Status Results Report' (Inglese)
  5. OCHA e WFP 2010, Op. cit., “Between the fence and a hard place”
  6. OCHA e WFP 2010, “Between the fence and a hard place”, p. 31
  7. OCHAoPT (novembre 2013), “Humanitarian bullettin. Monthly Report”, p. 4


La Striscia di Gaza, inoltre, non è autosufficiente in termini di energia elettrica, anche a causa della distruzione delle principali infrastrutture nel 2006 durante il primo bombardamento aereo israeliano della Striscia, operazione militare cui gli israeliani hanno dato il nome di “Piogge estive”, rappresaglia al sequestro del soldato israeliano Gilad Shalit.

Così, l’utilizzo d’energia elettrica - momento cruciale nello sviluppo delle popolazioni - è soggetto a forti restrizioni, con ricorrenti black-out (programmati e non) che possono durare sino a 12 ore 55.

La domanda interna attuale di 360 megawatts è infatti assorbita solo per il 22% dall’impianto di Gaza (80 megawatts), e gli acquisti di energia dall’Egitto (6%) e soprattutto dalla Israel’s Electricity Company (33%, pari a 120 megawatts) non sono sufficienti a rispondere alle pur ridotte necessità palestinesi. Inoltre, proprio i 120 megawatts acquistati ogni anno dalla compagnia israeliana passano per torri elettriche situate nella “no-go zone”, a 10-20 metri dalla Linea Verde di confine, rendendo necessario - in caso di intervento manutentivo - il coordinamento con le unità dell’esercito israeliano, reticenti al fine di posticipare il termine del malfunzionamento o black-out 56.

Generatori di corrente a benzina o diesel sono una soluzione emergenziale al deficit, applicata soprattutto là dove è indispensabile, come negli ospedali. Tuttavia, la difficoltà di approvvigionamento e la carenza di carburante, per l’embargo imposto da Israele, rende tale applicazione una non-soluzione, rideterminando - in caso di black-out - il rischio di deterioramento di materiali medici, sangue, nonché l’interruzione e il ritardo di operazioni urgenti 57.
La crisi energetica è stata ulteriormente aggravata, prima, dalla chiusura o distruzione dei tunnel da e verso l’Egitto – per i quali passava una quota di combustibile di contrabbando 58, e poi, durante l’ultimo assedio israeliano della Striscia (luglio 2014), dal bombardamento della centrale elettrica di Gaza.

Figura La Striscia di Gaza e la dipendenza energetica da Israele
Traduzione in italiano della cartina di Sabbah Report

Elettricità (e)

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Note e riferimenti bibliografici di sezione:
(consultabili anche con un click sul richiamo di nota)
  1. OCHAoPT marzo 2012, Op. cit., “The humanitarian impact of Gaza’s electricity and fuel crisis”
  2. OCHA e WFP 2010, “Between the fence and a hard place”, p. 33
  3. OCHAoPT marzo 2012, Op. cit., “The humanitarian impact of Gaza’s electricity and fuel crisis”
  4. OCHAoPT (novembre 2013), Op. cit., “Humanitarian bullettin. Monthly Report”, p. 3


Una delle più immediate conseguenze educative del regime di controllo israeliano della Striscia è la riduzione della vita scolastica a Gaza, a vantaggio di un ingresso prematuro nel mondo del lavoro 59 che coincide quasi sistematicamente con i 18 anni 60: è una delle strategie di sopravvivenza alla crescente disoccupazione all’interno delle famiglie, non esaustivamente ma anche a causa delle politiche di controllo della terra e delle acque marittime di cui si è detto.

Per chi rimane, la locuzione chiave è “assenza di strutture”. I bombardamenti, specie durante l’operazione militare “Piombo Fuso” (2008), hanno distrutto 18 scuole e nidi per l’infanzia 61 (di questi, nel 2010/2011 se ne registravano 782, di cui solo 2 pubblici, per 60.134 bambini 62), danneggiandone 250. Le difficoltà per la ricostruzione, a causa della carenza di materiali edili unita agli ostacoli posti da Israele ai progetti umanitari internazionali, conducono il sistema educativo palestinese a realtà di sovraffollamento, cancellazione delle attività non strettamente educative e scolastiche, riduzione dell’orario di funzionamento per sezione o classe, precaria protezione dagli elementi atmosferici, sintomi psicologici che richiamano ansia, trauma, difficoltà permanente di concentrazione - specie per quelle strutture situate in prossimità della Linea Verde che ospitano circa 4.400 bambini soggetti al frequente udito dei colpi di arma da fuoco, anche direttamente contro le scuole 63.
I bombardamenti dei due assedi militari dopo Piombo Fuso (Pilastro di Difesa nel 2012 e Margine di protezione nel 2014), hanno prodotto ulteriori danni alle già carenti strutture scolastiche e pre-scolastiche: quasi la totalità dei 460.784 studenti palestinesi frequentano scuole primarie e secondarie (396 pubbliche, 244 a gestione UNRWA e 48 private) che lavorano a turni doppi, e in alcuni casi con sezioni di oltre 50 studenti 64.
Solo oggi mancano circa 250 scuole per accogliere degnamente i quasi 500mila studenti palestinesi: nel 2020 ne serviranno altre 190, per un totale di 440 nuove scuole per oltre 650mila ragazzi e ragazze 65. Un’operazione minata da bombardamenti di strutture esistenti e dall’embargo dei materiali edili per costruzioni civili.
L’educazione diventa così l’area di sviluppo potenziale nella quale l’assedio quotidiano di Israele su Gaza è più pressante, ma allo stesso tempo più difficilmente misurabile nelle conseguenze sulla popolazione, che di fronte a vuoti educativi potrebbe trovare rifugio nell’estremismo e nel dogmatismo religioso.
Un recente articolo di Asmaa al-Ghoul su Al-Monitor raccoglie un’intervista al proprietario della prima biblioteca di Gaza, aperta nel 1942:

In passato i libri arrivavano da Gerusalemme; la nostra libreria era fornita di giornali e riviste. Nel 1946, comunque, il capo della distribuzione al Cairo decise che la mia libreria – Al-Hashimia – sarebbe stata la distributrice certificata per la Striscia di Gaza. Giornali e libri arrivavano quotidianamente via treno dall’Egitto. C’erano molto progetti culturali ed educativi, interrotti dall’occupazione israeliana; hanno chiuso tipografie, arrestato i tipografi e imposto una tassazione elevata al settore. Ciò fu fatto con l’obiettivo di rendere e mantenere deculturata la popolazione.



24 novembre 2012, primo giorno di scuola dopo la tregua tra Israele e Hamas: le bambine palestinesi sono circondate dalle macerie di una scuola di Gaza City danneggiata dai bombardamenti israeliani. (AP Photo/Bernat Armangue).

Educazione (f)

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Note e riferimenti bibliografici di sezione:
(consultabili anche con un click sul richiamo di nota)
  1. OCHA e WFP, Op. cit., “Between the fence and a hard place”, p. 27
  2. Ufficio Statistico Palestinese 2012, Op. cit., “Palestine in Figures 2011”. Estratto dei dati sulla partecipazione scolastica: 15-17 anni = 87,4% // 18+ = 13,7%
  3. OCHAoPT (2011), “Easing the blockade”, p. 18
  4. Ufficio Statistico Palestinese 2012, Op. cit., p. 32
  5. OCHA e WFP 2010, Op. cit., “Between the fence and a hard place” p. 29
  6. OCHAoPT maggio 2013, Op. cit., “Fragmented lives. Humanitarian overview”, p. 66
  7. OCHAoPT maggio 2013, Op. cit., “Fragmented lives. Humanitarian overview”, p. 66


La popolazione stimata alla fine del 2012 nella Striscia di Gaza era pari a 1.672.865, con 4.583 abitanti per chilometro quadrato.
Solo la naturale crescita demografica della popolazione richiede allora uno sforzo per la costruzione di almeno 25.000 unità abitative, cui tuttavia vanno ad aggiungersi:
  • 6.300 unità distrutte per bombardamenti durante l’operazione militare israeliana “Piombo Fuso”;
  • 2.900 unità distrutte per bombardamenti durante le precedenti azioni militari israeliane;
  • 5.500 unità per superare i pur minimi standard di sicurezza abitativa nei campi profughi della Striscia di Gaza (al 1° gennaio 2012 la UNRWA ha registrato 1.167.572 rifugiati in 8 campi).
Il settore edile, nell’industria palestinese, è quindi quello che più potrebbe beneficiare di un alleggerimento del blocco imposto alla Striscia di Gaza da Israele, anche attraverso la collaborazione in progetti internazionali di costruzione, rimanendo fermo il blocco all’importazione nazionale di materiale edile per la (ri)costruzione. Ciò è solo in parte avvenuto, a causa della rallentante politica israeliana di autorizzazione 66 dei progetti e - all’interno di un progetto approvato - di monitoraggio di ogni movimento di materiale, esattamente come già visto nell’esempio delle infrastrutture per il trattamento delle acque reflue.

L’urgenza del problema della casa, per migliaia di civili palestinesi, è inoltre solo in parte mitigata da due strategie di sopravvivenza per l’approvvigionamento di materiale di (ri)costruzione:
  • il rafforzamento del mercato di materiale edile contrabbandato attraverso gli stretti tunnel 67 da-e-per l’Egitto, che tuttavia non può accogliere - per ragioni logistiche - materiali e beni quali bitume, barre di acciaio, cemento per la costruzione di tegole, etc.;
  • l’invenzione di un nuovo lavoro (spesso dopo aver perso quello nelle terre o nelle acque marittime), ovvero il raccoglitore di macerie e detriti poi lavorati e trasformati in aggregati edili, pur tuttavia di scarsa qualità.
Una situazione così delineata, riassumibile nella difficoltà di rispondere alla domanda di strutture abitative per la popolazione civile palestinese, conduce a radicamenti negativi nella qualità della vita 68:
  • il sovraffollamento degli spazi domestici minaccia la privacy di ogni individuo all’interno della famiglia, con un effetto sulla società palestinese che - assieme alla disoccupazione crescente dell’uomo - alimenta una questione di genere;
  • edifici sotto gli standard di sicurezza significano soprattutto scarsa protezione dall’ambiente circostante, e pertanto costi per un sistema sanitario già in precario equilibrio;
  • le carenze abitative, unite alle carenze di strutture educative, producono un doppio sovrappopolamento degli spazi che mina i risultati scolastici di generazioni di palestinesi della Striscia.

Casa (g)

a. Introduzione
b. La terra e la questione agricola
c. Mare navigabile e industria ittica
d. Acque reflue e infrastrutture
e. Elettricità
f. Educazione
speciale. Operazione "Piombo Fuso"
h. Da Gaza verso la Cisgiordania

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Note e riferimenti bibliografici di sezione:
(consultabili anche con un click sul richiamo di nota)
  1. OCHAoPT 2011, Op. cit., “Easing the blockade”, p. 14
  2. OCHAoPT 2011, Op. cit., “Easing the blockade”, p. 7
  3. OCHAoPT 2011, Op. cit., “Easing the blockade”, p. 15


"Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola", mi dice Jamal, chirurgo dell’ospedale Al Shifa, il principale di Gaza, mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a noi proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue. "Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l’ultimo miagolio soffocato".
Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua. "Cerca ora di immaginare cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell’opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste..."
Tanto valeva nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati?"
(Vittorio Arrigoni)


Tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009, in tutto il mondo occidentale le cronache dell’assedio militare israeliano della Striscia di Gaza hanno oltrepassato – senza nulla dire – il muro del silenzio giornalistico sul peso quotidiano della presenza di Israele in Palestina, che fin qui si è cercato di descrivere.
Per questo non percorreremo più i terribili giorni dell’offensiva militare israeliana nella Striscia 69. Però, è necessario rimettere in piedi alcuni dati e alcune parole:
  • Nel dicembre del 2008 Israele ha lanciato una guerra preventiva al movimento politico e paramilitare che amministrava la Striscia di Gaza dal 2006, “Hamas”, ma soprattutto ai civili palestinesi;
  • In otto anni, dal giugno 2004 al novembre del 2012, i razzi e i mortai lanciati dalla resistenza palestinese dalla Striscia di Gaza su Israele hanno fatto 24 morti 70 in oltre 3.000 giorni (il dato esclude i primi anni della Seconda intifada e forme di attacco diverse);
  • In 20 giorni (20) l’assedio israeliano sulla Striscia di Gaza, la guerra preventiva, ha fatto 1.397 morti 71, 764 dei quali (54,69%) estranei all’impari conflitto e 345 bambini (24,70%), come i 40 morti per il bombardamento di una scuola UNRWA adibita a rifugio ONU 72; 9 (nove) gli israeliani uccisi dai palestinesi durante i 20 giorni di assedio;
  • I bombardamenti israeliani, secondo il bilancio della Croce Rossa Internazionale, hanno prodotto la distruzione della casa per 80.000 palestinesi 73;
  • L’organizzazione israeliana “Breaking the silence”, critica nei confronti dell’occupazione, ha prodotto un carnoso rapporto nel quale viene denunciata la disumanizzazione e la nulla considerazione per il destino dei civili palestinesi durante l’assedio militare 74, attraverso la raccolta di testimonianze anonime di soldati nelle fila delle Forze di Difesa Israeliane;
  • Israele ha utilizzato fosforo bianco durante il conflitto contro la popolazione civile, come è stato documentato da più organizzazioni; al di là di chi contesta l’esistenza del divieto all’uso del fosforo bianco nella “Convenzione su certe armi convenzionali”, il contatto con quest'arma provoca profonde ustioni che penetrano la pelle, lasciando in chi sopravvive alti livelli di tossicità a causa delle sostanze prodotte durante la reazione con il corpo umano, oltre ai residui incombusti.
    Il 7 maggio 2012 l’International Journal of Environmental Research and Public Health ha pubblicato una ricerca scientifica 75, a firma di un’equipe palestinese e italiana (Università di Genova e Napoli). Dai dati raccolti, su un campione di 4.027 parti, 55 sono i bambini nati con difetti congeniti (“birth defect”), ovvero 14 su 1.000. Ai genitori è stato chiesto se fossero o meno stati esposti al fosforo bianco: quasi 3.000 nuclei (2.977) hanno risposto alla domanda.
    Ne è emerso che il 27,2% dei genitori (uno o entrambi) di bambini affetti da problemi genetici sono stati esposti al fosforo bianco – 12 su 44, mentre appena l’1,7% – 49 su 2.933 – sono nati sani nonostante l’esposizione di uno o entrambi i genitori alla sostanza 76.
    Questa significativa differenza suggerisce un “ruolo causativo/favorente dell’esposizione acuta dei genitori alle contaminazioni delle armi non convenzionali […] sullo sviluppo embrionale dei propri figli”.

A Piombo Fuso è seguito, nel 2012, un altro assedio militare, “Pilastro di Difesa”: 174 morti, di cui 101 civili, 14 donne e 36 bambini; 1.046 feriti, di cui 446 bambini, disabilità prodotte dallo Stato di Israele che richiederanno cure in ospedali già carenti di energia elettrica come di farmaci 77.
L’assedio del luglio 2014 sulla Striscia, l’operazione “Margine di Protezione”, allunga la scia di distruzione del popolo di Palestina: in meno di un mese di bombardamenti l’operazione israeliana ha superato Piombo Fuso nel numero di vite interrotte, 1.439 al 1° agosto, 926 civili (64,35%), di cui 286 bambini e 187 donne.
Come in Genet, il “movimento palestinese rimette in discussione l’arcaismo di certe società”. Eppure per scongiurare un radicamento profondo nella contemporanea cultura palestinese dell’Islam nella sua forma “giuridica, intransigente e retrograda” 78, prodotto storico della colonizzazione europea, è urgente non già un processo di pace ma di decolonizzazione.
La stretta quotidiana su Gaza, che poi cresce fino ad assedi medievali, al contrario, spacca la comunità palestinese, da sempre madre di una logica di libertà confessionale, producendo la pur debole resistenza armata con i “razzi-islamici” di Hamas, l’unico gruppo capace di organizzarsi militarmente in una resistenza che è Resistenza, e non “resistenza islamica”.

Piombo fuso (speciale)

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Note e riferimenti bibliografici di sezione:
(consultabili anche con un click sul richiamo di nota)
  1. Si rimanda comunque a “Gaza. Restiamo umani” di Vittorio Arrigoni, unica voce libera di uno dei conflitti del mondo svoltosi nell’assenza di stampa straniera e indipendente (per il divieto di accesso alla Striscia frapposto da Israele).
  2. B’TSelem (2012), “Attacks on Israeli civilians by Palestinians
  3. B’TSelem Statistics, Fatalities during operation “Cast Lead”
  4. PeaceReporter (2009), “Bombardata scuola Unrwa piena di profughi a Jabaliya: almeno 42 morti”, 6 gennaio
  5. Comitato Internazionale della Croce Rossa (2009), “Gaza: massive devastation calls for vast humanitarian effort”, Resource Centre
  6. Breaking the silence (2011), “Soldiers’ testimonies from Operation Cast Lead, Gaza 2009
  7. AA.VV. (2012), “Difetti congeniti a Gaza: prevalenza, tipi, familiarità e correlazione con fattori ambientali” in Int. J. Environ. Res. Public Health 2012, 9(5), pp. 1732-1747
  8. AA.VV. 2012, Op. cit., p. 1741
  9. OCHAoPT (novembre 2013), Op. cit., “Humanitarian bullettin. Monthly Report”, p. 5
  10. Genet 2002, Op. cit., “Palestinesi”, p. 47


La Palestina non è solo la Striscia di Gaza. Eppure, per i palestinesi della Striscia, la Cisgiordania è un mondo difficilmente accessibile, e l’alleggerimento del blocco nel 2010 non ha prodotti risultati confortanti 79 in tema di libero movimento della popolazione.

Dal settembre 2000, con l’avvio della Seconda Intifada, infatti, uscire dalla “prigione” di Gaza richiede un permesso speciale assieme al lento attraversamento di valichi, anche se per motivi sanitari (specie verso le strutture medico-specialistiche di Gerusalemme est), di studio (per tirocini in ospedali della West Bank, per frequentare facoltà non presenti nella Striscia 80) o di ricongiungimento con familiari residenti in Cisgiordania.

Un paziente su cinque manca il proprio appuntamento in un ospedale della Cisgiordania a causa del rifiuto del permesso o di un ritardo nella concessione 81. Nel 2010, inoltre, sono stati concessi appena 3 (tre) permessi di studio in università cisgiordane.

Ci stiamo così per spostare, nella trattazione, da due terre di Palestina (da Gaza verso la Cisgiordania) eppure in un modo agevole sconosciuto ai palestinesi.

(La drammatica foto di "copertina" è di Eva Bartlett del blog "In Gaza").

Da Gaza verso la Cisgiordania (h)

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Note e riferimenti bibliografici di sezione:
(consultabili anche con un click sul richiamo di nota)
  1. OCHAoPT 2011, Op. cit., “Easing the blockade”, p. 2
  2. Nel Settembre 2012 anche la Suprema Corte israeliana ha confermato l’interpretazione del governo su un caso di rifiuto del permesso d’entrare in Cisgiordania posto a cinque studentesse palestinesi: secondo la Corte, consentire il libero movimento delle persone minerebbe la “politica di separazione” basata su ragioni di sicurezza nonché politiche.
    In OCHAoPT maggio 2013, Op. cit., “Fragmented lives. Humanitarian overview”, p. 45
  3. OCHAoPT 2011, Op. cit., “Easing the blockade”, p. 20
 
©2013. Una realizzazione di Diego Brugnoni. Grafica a cura di Diego Brugnoni e Pietro Gregorini. Shoah-al-Nakba.it è pubblicato con una Licenza Creative Commons.